Tutto parte dalla lettera di un cv.
Tra le soft skills leggevo: “rapido decision making” – rapida presa di decisione.
Mi sono interrogata tanto su quest’affermazione, ponendomi veramente tante domande: la decisività (si può dire?!), tra l’altro rapida, è sempre una qualità da enfatizzare?
Credo che tutti nella vita, sia personale che lavorativa, ci siamo trovati di fronte ad importati decisioni da prendere per le quali una risposta rapida non era possibile se non poco auspicabile: una nuova strategia commerciale, la scelta di accoglienza di un fornitore, l’ordine del giorno di un meeting, selezionare un candidato, decidere di fare o meno un Master, riflettere se valga la pena scrivere un libro, etc…
Credo che risuoni anche piuttosto familiare la pressione che a volte viene posta dall’esterno per “muoversi” ad elaborare una decisione perché c’è poco tempo.
Viene chiesta risolutezza (ah, ecco come si dice!).
Rien ne va plus, les jeux sont faits.
Beh, come meravigliarsi: siamo circondati da colleghi e guru che ci dicono che per essere un buon leader non bisogna essere indecisi. Tuttavia, e qui viene il bello, in letteratura c’è un ricco corpus di ricerche nell’ambito della psicologia del lavoro e dell’economia comportamentale che suggerisce che la risolutezza non è un bene inequivocabile!
Colpo di scena, signori!
Il team dello psicologo tedesco Peter Gollwitzer ha studiato molto a fondo il processo del decision making suddividendolo in 2 fasi:
° Fase pre-decisionale, governata da un mindset deliberativo: le persone si concentrano su un’analisi delle possibilità, valutano pro e contro, sono aperti al confronto e, anzi, cercano attivamente nuovi input per comprendere come muoversi e quali obiettivi porsi. Si cerca di anticipare le possibili conseguenze e, nel caso non fosse possibile, si pondera il tutto alla luce dei propri valori.
° Fase post-decisionale (o pre – operativa), governato da un mindset attuativo: in questo momento si cerca un piano di azione. La mente smette di deliberare e si concentra sull’operatività e sulla finalizzazione verso un risultato (un risultato qualsiasi, se prima non si è passati dalla fase deliberativa).
Entrare troppo facilmente in fase attuativa ci porta ad una visione delle cose “a tunnel”: andiamo a selezionare solo le informazioni che ci convengono (processo quasi del tutto inconscio) fino a costruire un’idea della realtà che conferma praticamente ciò che abbiamo già deciso.
Non solo, passare subito ad un mindset attuativo, sopratutto quando si è di fronte a situazioni complicate, può portare a decisioni fortemente rischiose, poco ponderate e calibrate sui rischi. Fidarsi dell’intuito, essere veloci per arrivare primi, non sempre paga, anzi a volte ci si ritorce contro.
Con ciò non si vuole suggerire di paralizzarsi sull’analisi dei pro e dei contro, continuando a riflettere per momenti che appaiono eterni; prima o poi, bisogna passare in fase attuativa e, come sempre, la soluzione è nel trovare il giusto trade-off.
Per fortuna, diversi studi ci dicono che la tipologia di mindset che si utilizza durante un processo decisionale è CONTROLLABILE, il che significa che possiamo attivamente far qualcosa per modificare il nostro modo di pensare e con un minimo sforzo.
Cosa fare? Alcune tattiche che provengo dal mondo accademico.
- Beh: prima di tutto, sinceriamoci di poter scegliere tra più opzioni. E se non troviamo l’altra opzione.. cerchiamola. E se non la troviamo.. cerchiamola. E’ necessario aver più possibilità di scelta.
- Agenda in mano: è fondamentale darsi un “entro quando” è necessario decidere. Una volta fissato il limite, pianifichiamo (concretamente) del tempo utile da dedicare alla riflessione, alla ricerca di confronto, etc… Insomma, pianifichiamo del tempo per approfondire la questione e i diversi punti di vista connessi alle soluzioni.
- Cominciamo dai pro e i contro delle diverse scelte. Non fermiamoci sulle conseguenze oggettive ma approfondiamo fino alle emozioni che le diverse scelte ci fanno provare.
- Chiediamo a qualcuno di fare (appositamente ) l’avvocato del diavolo, chiedendogli di rivolgerci delle critiche (magari costruttive);
- Diventiamo l’avvocato del diavolo di noi stessi: cerchiamo di essere recettivo e di collezionare dei dati che confutano la nostra scelta. Si dice che Darwin avesse un diario contenente tutte le ipotesi che contraddicevano la sua teoria (ardito ma necessario perché, lo si ribadisce, il rischio è quello di cercare e selezionare solo informazioni che confermano le nostre teorie, rendendoci ciechi a possibili deviazioni);
- Consideriamo l’idea di coinvolgere persone del tutto estranee al tema: non sottovalutiamo la potenza del loro occhio “ingenuo“;
- Infine, chiediamoci se stiamo facendo ciò che vorremmo o ciò che dovremmo fare. I nostri valori, cosa dicono?
La fase deliberativa è necessaria e va esplosa al meglio, soprattuto dinnanzi a scelte complicate.
Una volta che la scelta è chiara e ci appartiene beh… siamo pronti ad agire.. e a farlo al meglio.
0 commenti